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Lavoro e Risorgimento

21 Marzo 2011

Nell'ambito delle iniziative per la ricorrenza del 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia, la Cgil di Parma propone un pomeriggio dedicato a "Lavoro e Risorgimento".

 

L'iniziativa, che avrà luogo lunedì 21 marzo, alle ore 15.00, nel salone "Bruno Trentin" della Camera del Lavoro di Parma, in via Casati Confalonieri, 5/a, vedrà la presenza, oltre che della segretaRia generale della Cgil di Parma, Patrizia Maestri, di Roberto Spocci, responsabile dell'Archivio storico del Comune di Parma.

 

E proprio a Roberto Spocci spetterà di inquadrare il tema della giornata, partendo da quello che è il vero motore del Risorgimento: l'ansia di giustizia sociale. Quello del rapporto tra lavoro e periodo risorgimentale è purtroppo un tema poco studiato ma che si rivela molto interessante. Uguaglianza sociale, diritti delle donne, istruzione gratuita e obbligatoria, sussidi di disoccupazione: parole che certo non ci richiamano subito alla mente il Risorgimento. E invece ci sbagliamo. Attraverso uno studio accurato dei diari garibaldini, confrontando le versioni differenti, proponendo nuove interpretazioni alla luce di stralci inediti, lo studioso è giunto a delineare un ritratto poco conosciuto dell’eroe dei due mondi, almeno per chi non ne ha molta familiarità, da cui risulta un Garibaldi fortemente animato da ideali egualitari, che lo accompagnano per tutta la vita.

 

Un primo episodio che testimonia questo fervore sociale si colloca poco dopo la battaglia del Volturno, quando troviamo un Garibaldi intento a invocare l'unità europea, avendone già in mente degli obiettivi programmatici: l'unione poteva eliminare il pericolo di guerre, permettendo così di risparmiare l'enorme quantità di denaro destinato agli eserciti. Nell’intenzione di Garibaldi una prima parte dei denari che si sarebbero risparmiati puntando all’unità ed eliminando il pericolo di guerre doveva essere destinata – spiega Spocci, -  alla costruzione di opere pubbliche, come ponti e strade, fondamentali per lo sviluppo del commercio; un’altra parte di quel denaro poi doveva essere investita nell'istruzione e nell'alfabetizzazione del popolo.

 

Il più interessante però è il terzo e ultimo punto di questo programma: il resto del denaro sarebbe stato investito per il miglioramento della vita, una specie di welfare risorgimentale.

 

Per prima cosa necessitava una scuola dell'obbligo che fosse pubblica e laica; poi bisognava sostenere quelle persone che attraversavano un periodo di difficoltà: per questo motivo Garibaldi, di fatto, inventa il sussidio di disoccupazione. Ma è con il Patto di Roma, attorno agli anni ’70, che emerge prorompente la personalità più marcatamente egualitaria: “un episodio poco conosciuto che però rivela i tratti più socialisti del suo pensiero, con l’esposizione di alcune proposte davvero rivoluzionarie: dall’abolizione degli eserciti permanenti, all’abolizione di ogni privilegio (che in sostanza promuove l’uguaglianza dei cittadini) fino a prospettare l’emancipazione del lavoro, considerato come unica sorgente della proprietà”.

 

Non è certamente un caso che l’85% dei volontari garibaldini provenisse dalle fasce più deboli della società, la maggior parte dei quali erano i cosiddetti “giornalieri”, cioè uomini e ragazzini che lavoravano nei campi alla giornata. “Interessante anche - come sottolinea Spocci – che molti di questi volontari erano originari dell’Oltretorrente” cioè delle campagne parmigiane, , come Luigi Musini, un fervente garibaldino (tra i primi ad arruolarsi) oltre che il secondo deputato socialista della storia d’Italia. Dell’Eroe dei Due Mondi proprio Musini ebbe a dire: “Garibaldi ha sempre lottato per un’Italia di liberi, di felici, di uguali”.

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