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No all'aumento dell'eta' pensionabile per le donne

6 Marzo 2009
Mettere mano al tema della conciliazione

Dopo il pronunciamento della Corte europea di giustizia, che ha recentemente sentenziato che le donne italiane sono penalizzate, sul piano economico, da un’età pensionabile troppo bassa, si è innescato, secondo la Cgil di Parma, un inaccettabile accanimento da parte del governo contro il genere femminile, tanto più grave perché nascosto dietro l’ipocrisia della gradualità. In particolare, in merito all’ipotesi dell’innalzamento dell’età pensionabile delle donne nella Pubblica amministrazione, sostenuta dal Ministro Brunetta, si nasconde una vera e propria ‘trappola paritaria’. Viene infatti occultato, come sottolinea Valentina Anelli, segretaria confederale della Cgil provinciale oltre che esponente del Coordinamento femminile della Cgil di Parma, ‘il fatto che le donne in Italia non sono affatto costrette ad andare in pensione a 60 anni. Possono farlo se lo scelgono, oppure, grazie ad una legge che esiste da ben 31 anni, continuare a lavorare’. Ma, soprattutto, ‘limitarsi ad equiparare l’eta’ pensionabile fra uomini e donne senza intervenire sulle cause che sono all’origine di un sistema che penalizza il lavoro femminile, aggiunge disuguaglianza a disuguaglianza’.

La vita delle donne nel nostro Paese e’ ancora segnata dall’impianto patriarcale e sessista dello stato sociale. L’Italia e’ penultima in Europa per l’occupazione femminile, la precarieta’ colpisce soprattutto le donne, la disparita’ retributiva media rispetto agli uomini e’ del 23%. Inoltre il percorso lavorativo delle donne e’ molto frammentato. Non e’ un caso che le lavoratrici siano quasi esclusivamente titolari di pensioni di vecchiaia: cio’ e’ dovuto al ritardato accesso al mercato del lavoro, ai lavori salutari, stagionali, al part-time, alla discontinuita’ della vita lavorativa, spesso dovuta alla cura dei figli e dei genitori o ai licenziamenti in bianco per maternita’; mentre gli uomini sono soprattutto titolari di pensioni di anzianita’, prerogativa tipica di chi ha iniziato a lavorare presto e con continuita’.

Insomma, il lavoro, il reddito, i percorsi contributivi delle donne restano accessori e supplementari. Il 20% delle donne lascia il lavoro alla nascita di un figlio, il 60% nella fascia tra i 35 e i 44 anni e’ costretta a ridursi l’orario di lavoro per prendersi cura dei figli minori. Il 77% del lavoro domestico e di cura e’ a carico delle donne. Inoltre, per Valentina Anelli, ‘appare assurdo e paradossale pensare ad un aumento dell’eta’ pensionabile delle donne in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo, in cui non si fa altro che parlare di licenziamenti e la cassa integrazione ha gia’ raggiunto livelli mai visti. Prima di pensare ad una parificazione sarebbe invece giusto parificare altre questioni, a partire dall’occupazione, dalle retribuzioni, dal lavoro’.

La Cgil di Parma ritiene, in ultima analisi, che il governo continui a sollecitare pareri di esponenti europei per trovare alibi alla propria idea di fare cassa sulla pelle delle donne. Tra l’altro e’ dimostrato che il risparmio sulla spesa pensionistica sarebbe irrisorio, dato il basso numero di donne pubbliche dipendenti che gia’ ora accedono al pensionamento con i sessant’anni. Ma sarebbe rilevantissimo il risparmio sulla indennita’ di buona uscita, il che significa che il governo si appropria in modo indebito di competenze gia’ maturate e che dovrebbero essere nella piena disponibilita’ di quelle lavoratrici.

Il timore della Cgil e’ anche che questi provvedimenti finiscano per essere estesi dal settore pubblico al settore privato, provocando un effetto dirompente sul piano della occupabilita’ delle donne. ‘A questa situazione di palese disaprita’ lavorativa tra uomini e donne - conclude Valentina Anelli – si puo’ porre rimedio solo con la riqualificazione e l’espansione dello stato sociale, portando la spesa per il welfare al livello della media europea e con la ripresa di una stagione di lotte per i diritti, le liberta’ e l’autodeterminazione femminile, come fondamento di un modello sociale piu’ equo e solidale’.

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