Mettere mano al tema della conciliazione
La vita delle donne nel nostro Paese e’ ancora segnata dall’impianto patriarcale e sessista dello stato sociale. L’Italia e’ penultima in Europa per l’occupazione femminile, la precarieta’ colpisce soprattutto le donne, la disparita’ retributiva media rispetto agli uomini e’ del 23%. Inoltre il percorso lavorativo delle donne e’ molto frammentato. Non e’ un caso che le lavoratrici siano quasi esclusivamente titolari di pensioni di vecchiaia: cio’ e’ dovuto al ritardato accesso al mercato del lavoro, ai lavori salutari, stagionali, al part-time, alla discontinuita’ della vita lavorativa, spesso dovuta alla cura dei figli e dei genitori o ai licenziamenti in bianco per maternita’; mentre gli uomini sono soprattutto titolari di pensioni di anzianita’, prerogativa tipica di chi ha iniziato a lavorare presto e con continuita’.
Insomma, il lavoro, il reddito, i percorsi contributivi delle donne restano accessori e supplementari. Il 20% delle donne lascia il lavoro alla nascita di un figlio, il 60% nella fascia tra i 35 e i 44 anni e’ costretta a ridursi l’orario di lavoro per prendersi cura dei figli minori. Il 77% del lavoro domestico e di cura e’ a carico delle donne. Inoltre, per Valentina Anelli, ‘appare assurdo e paradossale pensare ad un aumento dell’eta’ pensionabile delle donne in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo, in cui non si fa altro che parlare di licenziamenti e la cassa integrazione ha gia’ raggiunto livelli mai visti. Prima di pensare ad una parificazione sarebbe invece giusto parificare altre questioni, a partire dall’occupazione, dalle retribuzioni, dal lavoro’.
La Cgil di Parma ritiene, in ultima analisi, che il governo continui a sollecitare pareri di esponenti europei per trovare alibi alla propria idea di fare cassa sulla pelle delle donne. Tra l’altro e’ dimostrato che il risparmio sulla spesa pensionistica sarebbe irrisorio, dato il basso numero di donne pubbliche dipendenti che gia’ ora accedono al pensionamento con i sessant’anni. Ma sarebbe rilevantissimo il risparmio sulla indennita’ di buona uscita, il che significa che il governo si appropria in modo indebito di competenze gia’ maturate e che dovrebbero essere nella piena disponibilita’ di quelle lavoratrici.
Il timore della Cgil e’ anche che questi provvedimenti finiscano per essere estesi dal settore pubblico al settore privato, provocando un effetto dirompente sul piano della occupabilita’ delle donne. ‘A questa situazione di palese disaprita’ lavorativa tra uomini e donne - conclude Valentina Anelli – si puo’ porre rimedio solo con la riqualificazione e l’espansione dello stato sociale, portando la spesa per il welfare al livello della media europea e con la ripresa di una stagione di lotte per i diritti, le liberta’ e l’autodeterminazione femminile, come fondamento di un modello sociale piu’ equo e solidale’.