CGIL, SLC e FP di Parma ne hanno discusso lo scorso il 12 maggio ai Voltoni del Guazzatoio
(Dalla relazione di Silvia Avanzini, segr. gen. SLC Cgil Parma)
L'idea di
provare a riflettere sull'insieme del sistema culturale di Parma in una
prospettiva di rilancio e recupero attraverso riflessioni e ragionamenti liberi
da schemi, soprattutto dopo lo tsunami politico che ha attraversato la nostra
città, nasce senza alcuna presunzione intellettuale da parte della Camera del Lavoro
- anzi certamente con qualche ingenuità- ma nella consapevolezza di alcune
caratteristiche storiche forti della città, che potrebbero rappresentare la
ripartenza e il punto di svolta di una città oggi a mezz'aria, sospesa - la
città del domani l'abbiamo definita. Terreno fertile quello della cultura,
convinti come siamo che a Parma ci siano competenze, passioni, professionalità
e interi giacimenti d'arte e di cultura, in grado di far riprendere un profilo
autentico e genuinoalla città di Parma, che si è persa in questi anni tra
slogan impropri e vuoti, inseguendo l'evento da città vetrina, ingigantendosi
in spazi oggi surrealmente pietrificati (il Palazzo del Governatore doveva
essere un centro di medialità sull'onda di Linz forse (??!!), ed oggi siamo al
paradossale"affittasi") e più si sono moltiplicati i luoghi, più Parma
culturalmente si è impoverita, disaggregata progressivamente e profondamente e,
quel che è peggio, il dibattito culturale si è ridotto alla cantilena Festival
Verdi sì, Festival Verdi no. Occasione mancata.Parma è per fortuna molto di
più.
Le poche
cose che dirò per introdurre suoneranno banali, ma veramente l'auspicio di
questa nostra mattinata è quello di permetterci di farci raccontare anche da
chi ci vede da fuori e soprattutto a stimolarci ad una riflessione più generale,
terza con molto rispetto e timore nei confronti del tema ampio della cultura,
dove per cultura deve intendersi una concezione allargata che implichi
educazione, istruzione, conoscenza e non necessariamente - tema molto sensibile
agli operatori del settore - legato ad un'idea di sviluppo meramente
economicistica e di mercato, incentrata sull'aumento del Pil - che si è
rivelato un indicatore alquanto imperfetto del benessere collettivo.Negli
ultimi tempi - soprattutto dopo le provocazioni e banalità sull'idea che con la
cultura non si mangia - si è accentuatoil binomio cultura ed economia, mala
cultura non può essere dimensionata unicamente in una prospettiva economica, ma
occorre valorizzarla nella sua pienezza;è un bene culturale - un bene comune -
al servizio del sistema sociale, strumento di coesione nazionale, benessere
collettivo e impulso per le attività del paese.
La
recessione durissima in corso, se da un lato ci impartisce una pesante lezione
sul rapporto finanza e speculazione versus economia reale (e la CGILper prima ha
scontato un isolamento pesante nel denunciare e aggredire i primi segnali già
profondi della crisi nel paese reale), dall'altro deve indurci a ripensare
radicalmente il nostro modello di sviluppo.
Sviluppo e
crescita sono oggi termini e concettiusati con disagio, i cui significati ci
dovrebbero indurre ad una vera riflessione su quale sviluppo e crescita
intendiamo,ma se vogliamo parlare di orizzonte, di futuro, dobbiamo
necessariamente costruire un'idea di cultura sopra le macerie, un'occasione e
un'indicazione di strada da perseguire con più convinzione; questo vale anche e
soprattutto per Parma, che dovrà somigliare ad un risveglio che passi
obbligatoriamente per la valorizzazione dei saperi, delle culture, puntando in
questo modo sulla capacità di guidare il cambiamento.Cambiamento necessario,
per non dire obbligatorio.
La cultura
deve tornare al centro dell'azione di qualsiasi governo - sia esso centrale che
locale - non come dibattito (la campagna elettorale ultima non ha brillato sul
tema, nonostante le chiarissime aspettative del mondo della cultura e gli
appelliche non sono mai realmente decollati, ma segno inequivocabile di quanto
la città abbia perso nell'ascolto delle proprie voci profonde; un paese e nel
nostro caso una città sorda agli appelli degli intellettuali dà già prova di
profondo impoverimento).
Almeno due
sono i motivi per cui la CGIL di Parma ha deciso di provarci e di chiedervi una
riflessione libera sul terreno della produzione culturale, i teatri di
produzione (musica e prosa) e della valorizzazione dei beni culturali: in
primis nel rispetto dei tanti lavoratori e operatori del settore tra produzione
culturale e patrimonio architettonico ancorati ai loro mestieri e al loro
lavoro da forte passione;Donato ha tratteggiato e denunciato la situazione dei
lavoratori pubblici che (ad esempio anche nei prossimi giorni) garantiranno i
servizi di accesso ai musei nonostante le condizioni di lavoro in netto
peggioramento; a me spetta invece spetta ricordare - partendo ad esempio dalla
nota vicenda dei precari del Teatro Regio - che l'intero settore è attraversato
da una precarietà storica, assenza di un
sistema di sostegno e ammortizzatori reale per il settorecon le note asperità
della riforma Fornero sul mercato del lavoro, con la soppressione attraverso il
decreto "salvaItalia" dell'ente previdenziale ENPALS, che ha un
avanzo di bilancio di 1,8 miliardi di euro risorse di lavoratori e imprese e
magari buone per attivare processi di protezione e sostegno al reddito,
mancanze di regole certe e leve fiscali, il FUS ancorato alle accise dei
carburanti dopo le note mobilitazioni del settore tutto e risorse pubbliche
decentrate, cioè comuni e regioni che dal welfare culturale spostano a quello
sociale, buona parte delle fondazioni lirico sinfoniche commissariate e interi
settori, ad esempio quello del cinema, attraversato da processi di innovazione come
il passaggio al digitale che sta mettendo in soffitta una schiera di proiezionisti.
Inoltre riteniamo
che Parma abbia appunto perso in questi anni di città vetrina il suo vero e
autentico RESPIRO CULTURALE. Perché Parma, lo dicevo all'inizio, non è solo Festival
Verdi (lo dico con tutto il rispetto per tale manifestazione, per quello che
rappresenta anche per la cultura più popolare della città, ma i lavoratori del
Teatro Regio concordano sulla posizione elaborata in anni di attività
sindacale) o di come ce lo dobbiamo giocare dal punto di vista del marketing
territoriale.
In questi
anni la principale istituzione culturale della città ilTeatro Regio, principale
teatro di tradizione in Italia (a beneficio dell'erogazione FUS) ha giocato un
irrealistico isolamento sia sul territorio che in regione, in più con forte spirito
competitivo nei confronti delle fondazioni lirico-sinfoniche, contando su una
politica nazionale di appoggi, che oggi hanno prodotto effetti ancora più
pesanti (assenza di legge ad hoc per il festival, incertezze sul bicentenario,
erogazioni una tantum romane, sprechi, sbilanciamento tra risorse e programmazioni
artistiche, etc). Di fatto oggi la Fondazione Teatro Regio, dopo anni di
denunce e mobilitazioni sindacali, è una fondazione in forte difficoltà,
perdite di bilancio e liquidità a secco, il cui salvataggio pesa su tutto il
sistema culturale della città, perché ciò che si mette o nella
ricapitalizzazione del teatro o nel contributo ordinario da parte del comune erode
risorse alle altre istituzioni.Paradossalmente: il principale teatro della
città avrebbe dovuto avere forza aggregativa creando un sistema virtuoso (si
sono invece polverizzate e duplicate situazioni, producendo problemi sulla
pianificazione delle risorse e calendari sovrapposti ad esempio le stagioni
concertistiche) e al contrario la solidarietà viene fatta al teatro e da chi già è più debole. Nella città e in
tempi di profondissima crisi e in un comune che uscirà da un commissariamento
di cui si è lungamente parlato la situazione si presenta oltremodo faticosa. E
questo è un territorio su cui si muovono importanti espressioni in ambito non
solo italiano ma europeo del teatro e della musica contemporanea e di
innovazione rigorosa (Lenz-Rifrazioni, Fondazione Teatro Due, Traiettorie), che
fa produzione preziosissima per il teatro deiragazzi (Teatro alle Briciole),
passando attraverso il sistema delle biblioteche, cioè quei luoghi che
continuano a produrre uno sguardo sul futuro e di interpretazione della realtà,
sfuggendo - e per questo pagando -
l'effimero, l'evento fine a se stesso. Questa è la terra che ha ispiratoBertolucci,
dove ad esempio si è insediata Guanda, la casa editrice di cui si festeggiano
gli 80 anni di storia, casa editrice che sfuggì alle mode editoriali, è la
città di una delle più belle rivoluzioni culturali e ideali di Tommasini/Basaglia/Bellocchio,
dell'astrattismo e del MAC di Atanasio Soldati e dell'originale cifra estetica
di Ettore Colla, del patrimonio dello CSAC, vero giacimento dell'arte,
design,fotografia, e perché non spingersi a sentire il respirodella Parma
profonda, fino a quello rivoluzionario e laico del popolo delle barricate e di
una delle primeCamere del LavoroSindacalisteRivoluzionarie, la nostra, quella
di Parma.
L'auspicio
è cheda questa fase di stallo, recuperando una visione autentica del tessuto
culturale di Parma, attraverso una Politica attiva e di intrecci tra
istituzioni e sistema formativo se ne benefici anche l'aspetto più direttamente
di indotto, quindi turismo e attività di ricezione del territorio, uscendo dal
confine e aprendoci ad alleanze e sinergie.
E quindi a
voi, gentili ospiti,la domanda aperta: la città del domani, Parma, può
ripartire anche dalla cultura ...?