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Infortunio in itinere. Lo stupro come danno da lavoro

9 Aprile 2014
Un precedente che difficilmente potrà essere ignorato in futuro

L'integrità psicofisica di una persona non si misura soltanto con il metro delle assenze dal lavoro per malattia. La legislazione, con il dlgs 38/2000 e la giurisprudenza, con numerose sentenze, hanno più volte ribadito il valore del danno biologico, inteso nell’accezione più ampia del termine.

Quanto tutto questo si traduca concretamente è tutta un'altra storia. Ha fatto notizia qualche tempo fa la sentenza della Corte di Cassazione n. 11545/12 che stabiliva il diritto di una lavoratrice al risarcimento del danno biologico subito a causa di una aggressione di cui è stata vittima, mentre si recava al lavoro, configurandolo come infortunio in itinere. Altre sentenze ne sono seguite e hanno fatto tutte notizia, perché ancor oggi nulla è dato per scontato.

La differenza sta nel fatto che è più facile contabilizzare il danno materiale che deriva da un infortunio sulla base di indicatori certi, quali quelli economici (perdita del salario), più difficile quantificare i danni immateriali, per lo più permanenti, quali sono quelli di natura relazionale o esistenziale (danno biologico).

Chi subisce una violenza di qualunque natura porta in sé cicatrici profonde e molto spesso invisibili. L’Inail, frequentemente, tende a privilegiare la contabilizzazione dei danni materiali, a scapito di quelli immateriali. Ne consegue che, molte volte, prima di ottenere il riconoscimento dell'indennizzo del danno biologico passano mesi e quasi sempre dopo aver avviato il ricorso amministrativo.

È successo anche questa volta per un caso inedito, ancorché gravissimo, di una lavoratrice straniera, originaria dello Sri Lanka, residente a Milano, stuprata mentre tornava dal lavoro nel quartiere Corsico della periferia del capoluogo lombardo. I fatti risalgono a un anno fa, ma soltanto nel febbraio scorso, l’Istituto assicuratore ha riconosciuto, dopo un ricorso amministrativo patrocinato dall’Inca, un risarcimento di circa 9 mila euro per i danni permanenti. “È la prima volta – spiega Laura Chiappani, funzionaria dell’Inca di Milano – che viene riconosciuto il danno biologico per un infortunio in itinere, causato da una violenza sessuale”.

La donna di 40 anni è stata brutalmente aggredita e stuprata mentre aspettava di prendere l’autobus che l’avrebbe riportata a casa. Le cronache locali del febbraio 2013 hanno dedicato all’evento i consueti trafiletti, accompagnati da una serie di considerazioni xenofobe alle quali si fa fatica ad abituarsi: “È stato sicuramente un nordafricano”; “non sono convincenti le dichiarazioni della lavoratrice”, e altre infamanti considerazioni.

La donna ha avuto solo la colpa di essersi trovata nel posto sbagliato, nel momento sbagliato. A soccorrerla, è intervenuta un’ambulanza che l’ha trasportata al pronto soccorso, dove i medici le hanno prestato le cure necessarie, constatando l’avvenuta violenza sessuale. La donna addetta alle pulizie della palestra di periferia Virgin Active, che si avvale del personale della cooperativa Iris, è stata abbandonata dal suo carnefice in strada semi nuda. Ciononostante, la cooperativa di pulizia Iris, da cui dipendeva, non ha sporto denuncia di infortunio all’Inail.

La lavoratrice è approdata all’Inca grazie alla segnalazione del centro Mangiagalli del Policlinico di Milano che da tempo è impegnata sul territorio, insieme alla Camera del lavoro di Milano e all’Inca, per combattere ogni forma di abuso sulle donne. “È stata proprio questa rete cittadina di protezione – chiarisce ancora Chiappani – a consentire a noi di garantire in tale occasione ogni forma di tutela e di sostegno anche psicologico ”. Dopo 12 mesi dal tragico episodio, infatti, la lavoratrice è ancora sotto shock. Le ripetute crisi di panico e lo stato di depressione crescente l’hanno costretta a intraprendere un percorso psicoterapeutico per cercare di cancellare ogni traccia del trauma subito.

Nel frattempo, la cooperativa Iris, invece, facendo orecchie da mercante, non si è neppure sentita in dovere di intervenire in qualche modo. Solo dopo l’intervento della Cgil, l’azienda è stata costretta a cambiarle la sede di lavoro, per evitare alla donna di dover continuare a subire quotidianamente l’incubo di percorrere quel chilometro di strada di periferia, isolata e costellata di capannoni industriali, per raggiungere il proprio posto di lavoro.

Dal canto suo, l’Inail, pur riconoscendo da subito l’infortunio in itinere e dunque, il nesso causale, si è limitata a pagare solo le 20 giornate di assenza giustificata dal lavoro (pari al periodo di prognosi certificato dall'ospedale), senza considerare le gravi conseguenze psicologiche ed esistenziali che ne sono derivate. Soltanto dopo la presentazione della documentazione medica e la domanda di revisione patrocinata dall’Inca, l'Istituto assicuratore ha finalmente accolto ad ottobre (ben dieci mesi dopo la violenza sessuale) la richiesta di indennizzo per il danno biologico.

La Corte di Cassazione, già con la sentenza del 14 febbraio 2008 n. 3776, aveva affermato che “in tema di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, pur nel regime precedente l’entrata in vigore del d.lgs n. 38/2000, è indennizzabile l’infortunio occorso al lavoratore ‘in itinere’, ove sia derivato da eventi dannosi, anche imprevedibili e atipici, indipendenti dalla condotta volontaria dell’assicurato, atteso che il rischio inerente il percorso fatto dal lavoratore per recarsi al lavoro è protetto in quanto ricollegabile, pur in modo indiretto, allo svolgimento dell’attività lavorativa…”.

Aver applicato, per la prima volta, questo principio basilare in un caso di stupro è davvero una notizia importante, non soltanto per le donne, ma anche per tutti coloro che non vogliono arrendersi a qualunque forma di violenza e neppure all'indifferenza, spesso prevalente, verso il benessere delle lavoratrici e dei lavoratori dentro e fuori gli ambienti di lavoro.

Il risarcimento riconosciuto alla lavoratrice in sé è poca cosa rispetto alle sue ferite psicologiche profonde, che restano indelebili, ma certamente, sul piano del diritto, rappresenta un segno tangibile che difficilmente potrà essere ignorato in futuro.

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