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Badanti straniere, via dalle nostre panchine! Cosi' Parma si conferma citta' dell'integrazione?

28 Aprile 2009
Intervento di Raffaele agliani, segretario confederale Cgil Parma con dellega sulle Politiche per l'immigrazione

‘Finche c’e’ rabbia c’e’ speranza.

Potremmo parafrase cosi’ il dissenso verso alcuni provvedimenti e proposte lette e commentate sui mezzi di stampa locali e nazionali in relazione ai limiti imposti agli ‘esercizi commerciali etnici’ (kebaberie) e all’ipotesi di vietare, a badanti e immigrati in genere ‘nulla facenti’, la possibilita’ di sedersi sulle panchine del Parco Ducale nella nostra citta’.

 

Il senso di vergogna che si prova di fronte a tanta manifestazione di sottocultura e razzismo impone di interrogarci su noi stessi, sul livello di immiserimento presente nella nostra civilta’ e su quanto ognuno di noi ne sia coinvolto.

 

Lo scatto di rabbia, il coraggio e la volonta’, ancora presenti in molti di noi, nel denunciare pubblicamente lo scempio della nostra storia e dei nostri valori fondativi, conquistati con tanti sacrifici dai nostri padri, che si sta consumando anche attraverso la sottovalutazione da parte di una certo atteggiamento istituzionale, lascia comunque aperte molte speranze. Forse, non tutto e’ perduto.

 

La Cgil non fa calcoli elettorali, non teme di dire verita’ fastidiose, a costo di pagare un prezzo ai poteri forti. Esempi recenti lo dimostrano. Non siamo i soli ma vorremmo che tanti facessero sentire la propria voce.

 

Gia’ si possono immaginare le possibili repliche: l’esigenza di sicurezza, il rispetto dei doveri, le regole di convivenza e riguardo nei confronti del paese ospite impongono risposte necessarie a sentimenti comuni.

 

Ma queste considerazioni, che pur prese correttamente rappresentano la base non solo condivisibile ma irrinunciabile per ognuno di noi, diventano, se mescolate, confuse e strumentalmente agitate, la miscela esplosiva che prepara una societa’ divisa, conflittuale e piu’ insicura.

 

In un momento di disagio sociale acutizzato da una crisi economica e occupazionale che investe tutti ma che si abbatte con piu’ forza sulle classi meno abbienti, sarebbe dovere della politica e delle istituzioni non di fomentare odi fra poveri, bensi’  di cercare soluzioni di maggiore equita’, di tutela per coloro che piu’ sono esposti ai ritorni di poverta’. Poverta’ che in assenza di risposte rischia di deviare anche in comportamenti delittuosi ed estremi.

 

Ebbene, che centra tutto questo con il colpire, con diabolica mira, la libera iniziativa, anche imprenditoriale, di cittadini stranieri che regolarmente producono e vendono i loro prodotti gastronomici o con il loro incontrarsi, il loro stare insieme, negli spazi pubblici? Sono da considerarsi come concorrenza sleale verso l’intrapresa degli autoctoni? O e’ puramente il fastidio che produce il solo vederli vivere quel momento di comunita’ che a noi pare perduto per sempre, presi ormai solamente dai bisogni indotti del possedere e del consumare?

 

La Cgil ha denunciato da subito l’azzeramento dei fondi, a partire da quello nazionale, per le politiche di integrazione e le nuove normative che di fatto impediscono i ricongiungimenti familiari: perché e’ con questi provvedimenti che si fomentano rancori. E anche per questo non risultano comprensibili provvedimenti che inaspriscono la permanenza nei centri di espulsione senza risolvere il problema dei rimpatri, o che promettono ricette risolutive per difenderci, a casa nostra, dagli stranieri impiegando ronde o succedanei, invece di investire nella Polizia di Stato, o ancora proposte come quella che prevede la denuncia da parte dei medici nei confronti di pazienti clandestini o le classi differenziate per i giovani stranieri. Cosi’ come appare insensato agitare la supposta sottrazione delle ex case popolari a danno dei locali.

 

Tutte iniziative fra l’altro a bassa efficacia pratica ma ad elevato impatto mediatico. Un moltiplicarsi di provvedimenti che purtroppo appaiono, soprattutto ai cittadini stranieri, come un accanimento ingiustificato delle nostre istituzioni verso di loro. Sarebbe utile invece ricordare quanto, ad esempio, contribuiscono con tasse e contributi previdenziali a sostenere le casse, diversamente deficitarie, degli Enti nostrani. Non e’ che tutto questo e’ finalizzato a costruire quelle scorciatoie di una certa politica che semina vento e non attende altro che raccogliere tempesta?’

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